Voto europeo su Copyright slitta a Settembre

La Repubblica riporta la notizia dello slittamento del voto sulla legge europea sul Copyright come un regalo ai giganti del web e si schiera apertamente a favore delle nuove norme che alcuni vorrebbero far diventare legge. A pensarci bene, forse, hanno ragione loro. La pagina del loro sito che contiene l'articolo in questione è piena di banner pubblicitari e se da Google o Facebook o Instagram, o persino da questo nano blog, non arriveranno più nuovi visitatori, pazienza. Sarà loro cura spiegare agli inserzionisti che il sito avrà meno visibilità. A loro interessano l'articolo 11 e l'articolo 13 della legge. L'articolo 11 è semplice da capire e da spiegare: si tratta della cosiddetta "link tax" per cui chiunque (anche il sottoscritto) una volta pubblicato un link, come sopra alla loro pagina, con un breve riassunto della notizia, dovrebbe pagare. Spiego meglio: non sono loro a pagare per avere più traffico sul sito, ma io che mando più visitatori e, quindi, potenziali clienti ai loro inserzionisti: il mondo alla rovescia. Pubblicando per questo articolo uno screenshot del sito di Repubblica ho appena violato l'articolo 11. Per spiegare l'articolo 13 vado nuovamente a violare l'articolo 11, riportando quanto scritto sul sito del Corriere della Sera in questa pagina e in questa:
L’Articolo 13, “Utilizzo di contenuti protetti da parte di prestatori di servizi della società dell’informazione che memorizzano e danno accesso a grandi quantità di opere e altro materiali caricato dagli utenti”, stabilisce invece che «i prestatori di servizi della società dell’informazione» adottino «in collaborazione con i titolari dei diritti misure miranti a garantire il funzionamento degli accordi con essi conclusi per l’uso delle loro opere o altro materiale ovvero volte a impedire che talune opere o altro materiale identificati dai titolari dei diritti mediante la collaborazione con gli stessi prestatori siano messi a disposizione sui loro servizi». L’obiettivo della norma, in sostanza, è quello di regolamentare a monte i rapporti tra il titolare dei diritti e il gestore della piattaforma, con lo scopo di tutelare il primo qualora i singoli utenti postino contenuti protetti da copyright di terzi su YouTube, Facebook & Co. «L’articolo 11 prevede che venga data una sorta di presunzione di illiceità a tutti i contenuti cui è associato un determinato marchio che il titolare dei diritti non ha comunicato alla piattaforma», spiega Cavalcanti. Secondo i più critici l’articolo 13 richiederà invece che tutte le piattaforme Internet filtrino i contenuti messi in linea dagli utenti per verificare che non violino il copyright, con un’evidente restrizione della libertà di parola. La campagna Copyright 4 Creativity sostiene che «se l’articolo 13 della direttiva sul diritto d’autore dovesse essere adottato, imporrebbe un’ampia censura su tutti i contenuti condivisi online». Il problema principale starebbe quindi nell’algoritmo usato per filtrare i contenuti, che l’eurodeputata Julia Reda equipara a una vera e propria macchina della censura. «Mentre le macchine possono individuare i duplicati degli upload di canzoni di Beyonce, non possono però individuare parodie, capire meme che utilizzano immagini con copyright o giudicare ciò che le persone creative stanno facendo. Lo vediamo troppo spesso su YouTube», ha detto alla Bcc Jim Killock, direttore esecutivo dell’Open Rights Group del Regno Unito. Una settantina di ricercatori e studiosi - tra cui l’inventore del Web Tim Berners-Lee, Vint Cerf, considerato tra i padri di internet, Jimmy Wales, cofondatore di Wikipedia, Brester Kahle, fondatore dell’Internet Archive, e il professore della Columbia University Tim Wu - hanno scritto una lettera aperta al presidente dell’Europarlamento Antonio Tajani, chiedendogli di opporsi all’articolo 13. «Richiedendo alle piattaforme Internet di eseguire un filtro automatico su tutti i contenuti caricati dai loro utenti, l’articolo 13 fa un passo in avanti senza precedenti verso la trasformazione di Internet da una piattaforma aperta alla condivisione e innovazione a uno strumento per la sorveglianza automatizzata e il controllo degli utenti».
Ora che i rischi sono chiari viene da domandarsi come mai non si faccia alcuna distinzione tra giganti, grandi, medi, piccoli, piccolissimi e microscopici protagonisti del web. Perché se è vero che i Giganti devono pagare e riconoscere il diritto d'autore a chiunque, è vero anche che milioni di persone hanno il diritto ad essere informati e di condividere le notizie più interessanti (ognuno deciderà sul significato di "interessante"). E se poi Google dovrà decidere se ad aver ragione è L'Espresso, per esempio, o un singolo utente, credo non vi siano dubbi da quale parte si schiererà. SB. P.S.: in questo sito non c'è pubblicità!

Wikipedia volontariamente oscurata

Anche Wikipedia si è schierata contro la nuova legge Europea sul copyright (ne abbiamo parlato qui), e da oggi la versione italiana non è più consultabile. Nella Homepage trovate un comunicato in cui si spiegano i rischi legati all'eventuale approvazione di tale legge. Inutile ribadire quanto la libertà in rete sia essenziale per le nostre democrazie e che chiunque voglia controllare Internet lo fa solo per limitare (se non azzerare) il libero scambio di informazioni, notizie ed opinioni. In questi anni molte persone hanno cambiato le loro abitudini d'informazione: dal l'informazione passiva delle tv e dei giornali a quella attiva della rete. Le opinioni si formano in base alle ricerche e non in base alle linee editoriali. Certo anche la rete ha i suoi problemi, in primis le fake news, ma è sempre meglio dell'informazione precotta proposta dagli editori (soprattutto in televisione). SB.

Dove ci porterà la nuova legge sul copyright in rete?

Oggi voglio riportare un'articolo apparso sul sito Rivista Studio del network di cui fa parte anche Lettera43.

L'articolo è stato scritto da Federico Gennari Santori.

La commissione giuridica del Parlamento Europeo ha dato il via libera a una legge che potrebbe cambiare le regole di Internet. Ecco cosa potrebbe cambiare. Forse qualcuno negli ultimi giorni avrà sentito parlare di “fine dei meme”. Fermo restando che si tratterebbe di una piccola-grande catastrofe per l’ilarità in rete, in realtà in ballo c’è molto di più. In Italia la notizia è passata praticamente inosservata, eppure martedì scorso la commissione giuridica del Parlamento europeo ha dato il via libera a una proposta di legge che potrebbe cambiare radicalmente le regole di internet. In negativo. I padri della rete in rivolta La settimana scorsa il creatore del World Wide Web Tim Berners-Lee, l’informatico Vint Cerf, il giurista Tim Wo e decine di altri esperti hanno indirizzato una lettera al presidente del parlamento Antonio Tajani per segnalare «una minaccia imminente». Dovuta alle novità che l’Ue si prepara a introdurre in materia di copyright. Il provvedimento consiste nella modifica e nell’integrazione della Copyright Directive, proprio con l’obiettivo di adeguarla all’era di internet. Sebbene non siano ancora definiti i tempi di approvazione (si potrebbe arrivare al voto finale del parlamento intorno agli inizi del 2019), l’allarme è già scattato. Piattaforme responsabili Ad attirare le maggiori critiche, comprese quelle arrivate a Tajani, è l’articolo 13 del testo, in cui è sancito che le piattaforme digitali saranno responsabili dei materiali pubblicati dagli utenti, e quindi anche delle violazioni del copyright, che starà a loro evitare. Come? Adottando misure «appropriate». Ovvero? Delle «tecnologie efficaci per il riconoscimento dei contenuti». L’articolo 13, dunque, metterebbe in sordina la vigente direttiva sull’ecommerce, che attribuisce alle piattaforme un ruolo di “tramite” proteggendole dalle sanzioni. E ha due grandi implicazioni: 1) le piattaforme digitali sono considerate a tutti gli effetti come editori; 2) l’attività degli utenti dovrà essere monitorata in maniera molto più dettagliata. (continua a leggere)

Privacy, cosa dovete sapere

Il GDPR è la nuova normativa europea che garantisce ai cittadini europei un maggior controllo sui propri dati e obbliga le aziende alla massima trasparenza nel trattamento di tali dati, con multe che arrivano fino a 20 milioni di € oppure, per le aziende più grandi, fino al 4% del fatturato. E dato che nessuno si muove se non per denaro, ecco che il GDPR ha fatto "innamorare" le aziende, da una parte, e noi utenti finali, dall'altra. Se vi fate un giro in rete e cercate, per esempio: "GDPR in breve" trovate decine di siti che vi riassumono la normativa. Quello che però DOVETE fare assolutamente per proteggere la vostra privacy è cambiare le vostre abitudini nell'iscrizione e nell'utilizzo dei servizi web. 1) Ogni servizio offerto in maniera gratuita lo pagate con i vostri dati e il consenso lo date voi non leggendo i termini e le condizioni e cliccando su "Accetto"; 2) Tutto quello che fate in rete è tracciabile e se ora in Europa non si può più fare (forse), nel resto del mondo si. Quindi basta che i server dove vengono memorizzati i dati siano fuori dall'UE ecco che le aziende continueranno a fare quello che hanno sempre fatto. 3) In teoria i dati di navigazione vengono associati ad un numero casuale (che siete voi) e, sempre in teoria, questo numero non può ricondurre ai vostri dati personali: non è così! 4) Cambiate motore di ricerca predefinito, mettete https://duckduckgo.com/ , Duck Duck Go garantisce di non tracciare in alcun modo le vostre richieste.5) Usate programmi contro il tracciamento dei siti web (ne esistono tanti per tutti i dispositivi) e per oscurare gli annunci pubblicitari.Ma la cosa più importante di tutte è di NON condividere MAI i vostri dati, i vostri contatti, le vostre foto, i vostri gusti, le vostre preferenze etc. con persone che non conoscete nella vita reale e con siti di dubbia provenienza. Perdete qualche minuto a leggere i termini di servizio e scegliete, in base a ciò che avete letto, se è davvero il caso di iscriversi ai vari siti.Ricordatevi che con il GDPR potete sempre chiedere ad ogni azienda (Google, Facebook, Twitter, Apple, Microsoft, Instagram etc) il file con tutti i dati che hanno raccolto in questi anni su di voi e l'immediata cancellazione sia di tali dati, sia del vostro profilo.