La Repubblica riporta la notizia dello slittamento del voto sulla legge europea sul Copyright come un regalo ai giganti del web e si schiera apertamente a favore delle nuove norme che alcuni vorrebbero far diventare legge.
A pensarci bene, forse, hanno ragione loro. La
pagina del loro sito che contiene l'articolo in questione è piena di banner pubblicitari e se da Google o Facebook o Instagram, o persino da questo nano blog, non arriveranno più nuovi visitatori, pazienza. Sarà loro cura spiegare agli inserzionisti che il sito avrà meno visibilità.
A loro interessano l'articolo 11 e l'articolo 13 della legge.
L'articolo 11 è semplice da capire e da spiegare: si tratta della cosiddetta "link tax" per cui chiunque (anche il sottoscritto) una volta pubblicato un link, come sopra alla loro pagina, con un breve riassunto della notizia, dovrebbe pagare.
Spiego meglio: non sono loro a pagare per avere più traffico sul sito, ma io che mando più visitatori e, quindi, potenziali clienti ai loro inserzionisti: il mondo alla rovescia.

Pubblicando per questo articolo uno screenshot del sito di Repubblica ho appena violato l'articolo 11.
Per spiegare l'articolo 13 vado nuovamente a violare l'articolo 11, riportando quanto scritto sul sito del
Corriere della Sera in questa
pagina e in
questa:
L’Articolo 13, “Utilizzo di contenuti protetti da parte di prestatori di servizi della società dell’informazione che memorizzano e danno accesso a grandi quantità di opere e altro materiali caricato dagli utenti”, stabilisce invece che «i prestatori di servizi della società dell’informazione» adottino «in collaborazione con i titolari dei diritti misure miranti a garantire il funzionamento degli accordi con essi conclusi per l’uso delle loro opere o altro materiale ovvero volte a impedire che talune opere o altro materiale identificati dai titolari dei diritti mediante la collaborazione con gli stessi prestatori siano messi a disposizione sui loro servizi». L’obiettivo della norma, in sostanza, è quello di regolamentare a monte i rapporti tra il titolare dei diritti e il gestore della piattaforma, con lo scopo di tutelare il primo qualora i singoli utenti postino contenuti protetti da copyright di terzi su YouTube, Facebook & Co. «L’articolo 11 prevede che venga data una sorta di presunzione di illiceità a tutti i contenuti cui è associato un determinato marchio che il titolare dei diritti non ha comunicato alla piattaforma», spiega Cavalcanti.
Secondo i più critici l’articolo 13 richiederà invece che tutte le piattaforme Internet filtrino i contenuti messi in linea dagli utenti per verificare che non violino il copyright, con un’evidente restrizione della libertà di parola. La campagna Copyright 4 Creativity sostiene che «se l’articolo 13 della direttiva sul diritto d’autore dovesse essere adottato, imporrebbe un’ampia censura su tutti i contenuti condivisi online». Il problema principale starebbe quindi nell’algoritmo usato per filtrare i contenuti, che l’eurodeputata Julia Reda equipara a una vera e propria macchina della censura. «Mentre le macchine possono individuare i duplicati degli upload di canzoni di Beyonce, non possono però individuare parodie, capire meme che utilizzano immagini con copyright o giudicare ciò che le persone creative stanno facendo. Lo vediamo troppo spesso su YouTube», ha detto alla Bcc Jim Killock, direttore esecutivo dell’Open Rights Group del Regno Unito. Una settantina di ricercatori e studiosi - tra cui l’inventore del Web Tim Berners-Lee, Vint Cerf, considerato tra i padri di internet, Jimmy Wales, cofondatore di Wikipedia, Brester Kahle, fondatore dell’Internet Archive, e il professore della Columbia University Tim Wu - hanno scritto una lettera aperta al presidente dell’Europarlamento Antonio Tajani, chiedendogli di opporsi all’articolo 13. «Richiedendo alle piattaforme Internet di eseguire un filtro automatico su tutti i contenuti caricati dai loro utenti, l’articolo 13 fa un passo in avanti senza precedenti verso la trasformazione di Internet da una piattaforma aperta alla condivisione e innovazione a uno strumento per la sorveglianza automatizzata e il controllo degli utenti».
Ora che i rischi sono chiari viene da domandarsi come mai non si faccia alcuna distinzione tra giganti, grandi, medi, piccoli, piccolissimi e microscopici protagonisti del web.
Perché se è vero che i Giganti
devono pagare e riconoscere il diritto d'autore a chiunque, è vero anche che milioni di persone hanno il
diritto ad essere informati e di condividere le notizie più interessanti (ognuno deciderà sul significato di "interessante"). E se poi Google dovrà decidere se ad aver ragione è L'Espresso, per esempio, o un singolo utente, credo non vi siano dubbi da quale parte si schiererà. SB.
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